Ieri Mendoza ha chiuso il sipario sulla “Via Blanca de las reinas” con l’elezione della regina più bella e con uno spettacolo di fuochi d’artificio che ha attirato tutta la città per le vie e le piazze del centro.
Stamattina la sveglia è suonata che era ancora buio, ma dal Mirador del nostro albergo ci siamo potuti godere l’alba sulla città e il cambiare continuo dei riflessi di luce sui platani che fanno da tetto a tutte le strade del centro.
Prima di rannicchiarmi nella mia “tana”, sul sedile posteriore del Massif, ho il tempo di un veloce incontro, come sempre per strada, come sempre del tutto casuale. Si tratta di José, un signore di 50 anni circa che ci avvicina attirato dal nostro accento. «Da dove venite?». La domanda è sempre la stessa e Josè, come tutti gli altri, ha l’aria di chi conosce già la risposta: «Ah italiani!– dice quasi sollevato – i miei genitori sono italiani!».
“Mis padres son italianos”, è la frase che ci sentiamo dire più spesso da quando siamo in Argentina: tassisti, passanti, ospiti dell’albergo, ristoratori. Incontri a volte fugaci, a volte lunghe chiacchierate che ci danno continuamente la misura di quanto siano numerosi gli argentini con origini italiane.
Metà della popolazione secondo le statistiche ufficiali, molti di più secondo la percezione che si ricava da queste parti.
Lasciamo Mendoza quasi in solitudine, per le strade c’è atmosfera da the day after e non facciamo fatica ad abbandonare il centro. La “carretera” che ci condurrà a Buenos Aires è un rettilineo lunghissimo. Un’autostrada tanto comoda quanto noiosa, almeno dal punto di vista del panorama che ci scorre a fianco: granturco, mais e prati sterminati.
Nel pomeriggio Sandro mi cede il volante del Massif. Per la prima volta dopo quasi 7 mila chilometri decide di concedersi una pausa e io sono ben lieto di dargli il cambio. La strada in alcuni tratti è simile a una autostrada europea, altrove si restringe e le piccole scosse sul volante mi tengono attento, mentre il panorama scorre sempre uguale a se stesso.
La sosta Laboulaye, l’anonima cittadina in cui facciamo “scalo” è solo un piccolo pegno da pagare prima di arrivare a Buenos Aires, domani.
Le foto è il video della giornata
Daniele Tagliavia
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