Una città come Buenos Aires non può non creare attese e io, le mie, le coltivo ormai da qualche giorno. Il fatto di arrivare in auto, dopo molti giorni di viaggio e dopo un’attesa (e una fatica) completamente diverse dal solito, aumenta la curiosità.
È un impatto nuovo rispetto a quello dell’aereo, mezzo comodo quanto violento nel portarti dall’altra parte del mondo in poche ore. In più, da qualche giorno ci pensa Ugo a caricare quest’arrivo di aspettative ed elettricità. Lui Buenos Aires l’ha visitata e amata molte volte, e non fa che parlarmene.
Lasciamo Laboulaye e ci immergiamo di nuovo nella pampa. Ai lati della strada troviamo soltanto pianura e coltivazioni a perdita d’occhio: una “finca” dopo l’altra, macchie di verde infinite e sempre uguali. Avvicinandoci alla città, le tenute agricole lasciano spazio ai capannoni industriali, la strada si allarga e iniziamo a vedere i primi centri abitati che gravitano attorno alla capitale.
In centro ci porta una sopraelevata che passa sopra tutte le periferie. Da questo insolito belvedere scorrono le immagini dei “cimiteri” di cisterne, appoggiate sui tetti di palazzine basse, e dei quartieri dormitorio fatti di palazzoni altissimi. Le periferie di questa enorme città, dopo tutto, sembrano conservare una dignità e un ordine che troppo spesso nella capitali della vecchia Europa mancano.
Appena arrivati a destinazione Ugo ci porta fino a Plaza de Mayo: di fronte a noi la Casa Rosada, sede della presidenza della repubblica, ai nostri piedi, disegnati sul pavimento della piazza, i fazzoletti bianchi simbolo dell’associazione delle madri di Plaza di Mayo.
Ogni giovedì alle 17, dal 10 aprile del 1977, queste donne sfilano in silenzio per chiedere giustizia e verità per i loro figli, i desaparecidos della dittatura militare che ha insanguinato l’Argentina tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80.
Le parole di Ugo, che mi descrive il rito di queste donne, i manifesti sulla piazza, e le piastrelle con il simbolo dell’associazione, danno il brivido di una memoria ancora viva. Qui il ricordo non ha né la maestosità di un obelisco, né la fissità di una lapide. Ma vive nei piedi e nelle gambe di queste donne, madri o nonne, che ordinatamente e ostinatamente da 34 anni non smettono di chiedere verità e giustizia.
Per oggi ci facciamo bastare l’emozione di Plaza de Mayo. Domani faremo visita ai bambini della fondazione PUPI.
le foto e i video della giornata
Daniele Tagliavia
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