L’oceano.
Usciamo da Tumbes molto presto la mattina e imbocchiamo la Panamericana norte in direzione sud. Dopo pochi chilometri alla nostra destra, l'oceano. Bellissimo.
La panamericana più volte sembra volercene privare portandoci verso l’interno, ma poi ce lo ritroviamo di nuovo accanto. E d’altronde non è necessario vederlo per sentirne la presenza: il suo profumo e la sua brezza arrivano anche quando la strada lo nega alla vista. E poi il mare ha una prerogativa affascinante: parla ai luoghi costieri su cui si affaccia con un messaggio impalpabile ma efficace, che influenza il modo in cui l’umanità organizza i propri spazi e i propri ritmi al suo cospetto. E la costa pacifica del Perù non sembra sfuggire a questa sorta di universale culturale.
Ugo vuole fare qualche foto in prossimità di un molo circondato da barche di pescatori e per me la sosta è un bellissimo regalo. L’oceano brontola qualche onda non troppo alta, mentre alcuni pescatori con secchi e canne da pesca spariscono in lontananza sulla enorme battigia costellata di barconi di legno abbandonati. Ripartiamo e proseguiamo costeggiando l’oceano fino a Mancora, una piccola cittadina che sembra una enclave occidentale nel poverissimo Perù settentrionale: i surfisti che la animano sono il nostro commiato dall’oceano. Tornerà a farci compagnia nei prossimi giorni, almeno fino a Lima, prima di arrampicarci sulle Ande peruviane.
Il deserto.
Dopo una breve sosta a Sullana dove pranziamo e facciamo rifornimento, ripartiamo verso Chiclayo. Tra noi e la nostra destinazione ci sono duecento chilometri attraverso il deserto del Sechura.
“L’ingresso” nel deserto è graduale: per i primi chilometri capita di incontrare piccole comunità che vivono lungo la strada: capannelli di poche case, la maggior parte costruite con l’argilla, alcune con un tetto di foglie, altre senza porte o finestre.
Gradualmente l’elemento umano sparisce e resta il deserto: una pista d’asfalto con ai lati sabbia e cespugli. Il Sechura è un deserto stepposto: la sabbia non è troppo sottile ed è piena di rovi e cespugli, in alcuni punti si scorge anche qualche albero.
La totale assenza di punti di riferimento sa essere inquietante, anche perché il sole è coperto da uno strado uniforme di nuvole e neanche il sole mi conforta nella ricerca di punti di riferimento. In più la strada non ha pietre miliari, ma a dettarne macabramente il ritmo è una serie lunghissima di piccoli altari: uno per ogni vittima della strada. Nella parte più meridionale del deserto il verde sparisce del tutto e ci imbattiamo anche in qualche duna di sabbia finissima mentre all’estremità meridionale ricominciamo a vedere qualche baracca che ci introduce a Chiclayo, la nostra meta di oggi.
Daniele Tagliavia
Il deserto....!
RispondiEliminaPenso che sia traumatico passare da un ambiente lambito dal mare che è il simbolo della vita a quello desertico, anche se solo di passaggio.
Lucia