A La Paz non c’è una strada che sia in piano: soltanto saliscendi che mettono a dura prova chi, come noi, si sta abituando soltanto adesso all’altitudine. In più il caos e lo smog rendono l’incedere per le vie della città particolarmente faticoso.
Mentre Luca e Ugo vanno al mercato della coca nel tentativo di raccontarlo con foto e video io, in compagnia di Sandro, Ignazio, ed Ermes vado verso il mercato delle streghe, meta irrinunciabile per chi visita la capitale Boliviana.
Chela de Cortés è una bruja (strega) buona ed è la prima che s’incontra lungo la calle de las brujas, l’arteria principale attorno alla quale si sviluppa il mercato.
Già di buon mattino Chela ha aperto il suo banchetto e, come Sandro e Ignazio mi avevano anticipato, espone dei feti di Lama essiccati che vende come portafortuna. Lei sembra stupita dalla mia espressione, quando la vedo maneggiare con naturalezza questi singolari portafortuna. Io vinco un po’ di disgusto e le chiedo qualche dettaglio. «Quelli che vedi – mi spiega - sono frutto di aborti spontanei che i contadini mettono a essiccare al sole per circa un anno, poi noi li compriamo». Il nostro piccolo dialogo è interrotto da una signora che vuole comprarne uno. «Oltre a questi feti – continua Chela – io preparo anche delle composizioni fatte da dolci e da pietre portafortuna. C’è una composizione per ogni richiesta: amore, salute, ricchezza, fortuna sul lavoro. Si sistemano in casa e si chiede alla Pachamama, la madre terra, un aiuto».
Già, la Pachamama…l’incontro con Chela mi ricorda che, qui in Sudamerica, alla cultura dominante di stampo cattolico sembrano essere come sfuggite delle istanze animiste risalenti alla civiltà Inca e alle altre civiltà andine precolombiane. Un misto tra monoteismo e animismo che ancora sopravvive e che da queste parti è vissuto in maniera del tutto naturale. Quando chiedo a Chela se è cattolica mi risponde quasi stizzita: «Certo che sono cattolica, ma Gesù sta in cielo e ci protegge, la Pachamama sta in terra e ci dà tutto quello che ci serve per vivere».
Daniele Tagliavia
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